MAGIC IN THE MOONLIGHT: LA MAGIA ESISTE E SI CHIAMA AMORE

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Stanley Crawford è un gentiluomo inglese che si guadagna da vivere come prestigiatore, riscuotendo con i suoi trucchi gran successo presso il pubblico. Accettata la sfida propostagli da un vecchio amico, si reca in Costa Azzurra per smascherare, con il suo raziocinio e pessimismo cosmico, una presunta medium che si starebbe approfittando di una facoltosa famiglia americana.

La signora seduta nel posto alla mia destra che confabula con il marito ha (purtroppo) ragione: Magic in the moonlight è un film fiacco. Promesse di brio e vivacità vengono agitate davanti al naso del pubblico, sotto forma di brillanti musiche anni ’30, paesaggi illuminati dal frizzante sole d’estate e giochi di prestigio, ma sono promesse che rimangono tali. Sono speranze che non trovano vero compimento, appiattite a sterile riempitivo, proprio come la colonna sonora.
Le labbra del pubblico in sala sono pronte al sorriso, aspettano solo una battuta mordace, ma l’attesa sarà ancora lunga.
La magia, o meglio l’illusione, la confusione tra realtà e finzione, non è un tema nuovo per Woody Allen. Il motore della vicenda, una sedicente sensitiva da smascherare, avrebbe potuto prestarsi bene a situazioni comiche e dialoghi arguti, ma poi si scivola nel cliché romantico, in agguato fin dal primo momento in cui Emma Stone cattura l’attenzione della macchina da presa con i suoi occhioni azzurri. Quanto sarebbe stato più interessante il finale se solo la macchina da presa si fosse fermata un istante prima, sul sorriso del protagonista ormai pronto ad abbracciare quel pizzico di magia e irrazionalità che la vita ci offre.
Non lo si potrebbe definire un brutto film, perché si sarebbe ingiusti nei confronti di bravi, anzi ottimi, attori. È un film carino che avrebbe potuto essere bello se solo non si fosse adagiato su una piatta brillantezza invece di avventurarsi nel territorio dell’inesplorato.
La "grande rivelazione" di Magic in the moonlight è che la magia esiste, e si chiama amore

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