OLD MOVIE NIGHT // E.T. L'extra-terrestre

Dopo aver di recente cominciato la serie di post Read instead, con l'obbiettivo di riscoprire il piacere per la lettura, mi piacerebbe cominciarne un'altra dal titolo Old movie night, con il similare proposito di rivedere, commentare e riscoprire film classici, più o meno recenti.
Quindi, se vi và l'idea, comincerei con uno dei miei film preferiti (forse addirittura IL preferito): E.T. L'extra-terrestre
Uscito nelle sale nel 1982, il film, diretto da Steven Spielberg, ha come protagonista assoluto un alieno bruttino ma simpatico. Per la creazione di E.T. Spielberg si rivolse hai più grandi professionisti americani del settore, senza che però i loro lavori lo soddisfacessero. Si rivolse allora ad un italiano, Carlo Rambaldi, non certo uno sconosciuto avendo già vinto due Oscar (uno per King Kong e l'altro per Alien). 
L'aspetto di E.T. è noto a tutti, probabilmente anche a quelli che il film non l'hanno visto: corpo basso e tozzo, grossa testa ovale, braccia lunghe e gambe decisamente corte. Ma la cosa più sorprendente di E.T. non è la sua fisionomia così diversa dalla nostra, ma l'incredibile espressività del suo volto. Ed era proprio questo aspetto che più interessava a Spielberg: voleva che il suo piccolo alieno sapesse esprimere emozioni, le stesse che proviamo noi umani.
Con questo scopo Rambaldi creò tre teste per il "pupazzo" di E.T., ognuna con una funzione diversa a seconda dei diversi tipi di ripresa: una comandata a distanza di 6 metri usata solo per i totali, un'altra con 12 punti di articolazione per una maggiore espressività ed una terza per i primi piani con ben 85 diverse espressioni. 
La prima volta che scorgiamo la creatura di Rambaldi è in mezzo ai suoi simili, ad altri della sua specie, quando la loro astronave atterra in una radura. Sono figure tozze, hanno un'andatura ondeggiante e si scrutano attorno con cautela, con timore: sin dall'inizio lo spettatore viene informato che non sono loro il pericolo, non sono loro da temere. 
A prestare soccorso ad E.T. è Elliot: è lui a trovare l'extra-terrestre nel capanno degli attrezzi e ad ospitarlo in casa sua all'insaputa della madre. Inizialmente non rivela il suo segreto nemmeno al fratello ed alla sorella, i quali, una volta visto E.T., dopo un primo attimo di paura, lo accettano subito: comprendono che non è pericoloso e cominciano a fargli domande sulla sua origine. 
I bambini insegnano a non aver paura di ciò che è diverso da noi. 
L'intero film è girato con inquadrature angolate dal basso verso l'alto: si tratta del punto di vista di un bambino, di Elliot, ma anche del piccolo E.T. È il punto di vista di un'alieno sull'umanità: lo spettatore è chiamato ad identificarsi con un essere proveniente da un altro pianeta, completamente diverso da noi (almeno apparentemente) e a scoprire con lui quanto sia ottuso e limitato il mondo di noi terrestri. 
Dopo oltre trent'anni E.T. continua ad essere sempre attuale e a far commuovere. 
E quei temi che lo rendono così attuale sono quelli più cari a Spielberg: infanzia e crescita, rispetto, tolleranza. Tematiche che ricorrono, sotto punti di vista diversi, in tutti i suo film. Ed infatti Spielberg stesso ha definito E.T. L'extra-terrestre come una sintesi del suo intero lavoro. 
Dopo una proiezione del film durante un festival cinematografico, a Rambaldi venne chiesto come mai se, come si vede nel finale del film (in una scena assolutamente indimenticabile), E.T. sa volare non ha usato fin dall'inizio questa sua capacità per raggiungere l'astronave e riunirsi ai suoi compagni. Rambaldi ha risposto: "Perché il compito del cinema è quello di insegnarci a mettere in pratica quello che già sappiamo fare ma ancora non abbiamo sperimentato. Per questo i ragazzi di oggi sono molto più svegli dei ragazzi di un tempo: perché c'è il cinema e qualunque miracolo è possibile."

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